venerdì 16 dicembre 2011

Un applauso ai pompieri

Non so bene come si faccia a scegliere di diventare medici del regno di OP. Scegliere di passarci una vita dentro, intendo. Scegliere di sveglarsi la mattina, accompagnare a scuola i propri figli, bere un cappuccino, mordere un cornetto, sfogliare il giornale e poi andare. Scivolare nel parcheggio del Grande Ospedale, chiudere la macchina, varcare la soglia della enorme hall d'ingresso, magari bere un altro caffè, infilarsi nell'ascensore d'acciaio del Grande Ospedale, quello del "percorso arancione", spingere il tasto 10, quello dell'ultimo piano e salire.

Poi girare a sinistra, verso la porta con sopra i disegni di una foresta - le banane, le scimmie, un grosso koala, alberi con grandi foglie - tirare un sospiro, girare le chiave nella toppa della porta a vetri con la cornice blu e sopra il cartello "Reparto di isolamento - vietato entrare". E poi entrare. Ogni mattina, ogni giorno dell'anno, o quasi. Tutta la vita a contatto con la morte o almeno con la possibilità della morte di chi alla vita si è appena affacciato.

E' per questo che non li odi mai, i medici del regno di OP. Nemmeno quando entrano nella tua stanza, una sera di fine maggio, e ti dicono che tuo figlio di due mesi e dieci giorni, probabilmente, molto probabilmente, quasi certamente ha il cancro. E tu vorresti spaccare il mondo in due e poi in duemila pezzi. Vorresti incendiare tutte le porte, gli ascensori, i bar, i parcheggi. Vorresti vedere andare a pezzi tutte le famiglie con figli che bevono serenamente il loro cappuccino e il loro cornetto davanti al giornale, la mattina. E un po' d'odio lo provi, per ogni cosa. Stupidamente, indistintamente.

Eppure li risparmi subito da ogni sentimento negativo, i medici del regno di OP. Che si sono presi la responsabilità di entrare da quella porta della stanza numero 3 e di dirti la verità. Che lo hanno fatto cercando le parole giuste e tutto sommato trovandole. Che parlavano sottovoce, stringendo le spalle. Che quando sono venuti a prenderti di corsa dalla stanza per fare una lastra d'urgenza, all'una di notte, erano là accanto a te, alla tua famiglia a loro sconosciuta fino a tre ore prima, al tuo bambino di due mesi e dieci giorni. Senza mollarlo un attimo, senza spostarsi di un centimetro. Che la mattina dopo, alla tac, erano dentro la stanza con lui e ogni tanto uscivano a dire a te e tuo marito che ci voleva un po', magari potevamo andare al bar, a rilassarci un secondo, perché dopo sarebbe stata un po' dura, avremmo dovuto prendere delle decisioni un po' complicate e non aveva proprio senso stare là davanti. Tanto c'erano loro, i medici del regno di OP.

Ci sono stati sempre. Ci sono ogni mattina della loro vita, per tuo figlio, per i figli degli altri. Passano con il carrello, circondati da studenti, seguiti da due infermiere, sepolti dalle cartelline cliniche con sopra i numeri dei letti. Venti letti, venti bambini. Venti tumori diversi, venti vite appese a un filo di nylon sottile come un capello. Venti tra neonati e adolescenti, bambinetti da asilo e liceali, famiglie accampate di Palermo, Ancona, Potenza, Brindisi, Matera che si son fatte centinaia di chilometri per raggiungere il Grande Ospedale o di stranieri che non sanno nemmeno una parola d'italiano venuti dal Kosovo o dalla Romania. Persone terremotate, spaventate, sfinite. Tutte nelle proprie mani.

Ma come fanno, i medici del regno di OP a dormire la notte e a non impazzire, a scegliere per il meglio e a coprire il corpo di un bambino quando muore, a sorridere nelle pause pranzo e a restare con la testa sul collo quando un piccolo non risponde alle cure, e alla terza chemioterapia si capisce che non c'è più niente da fare e le madri e i padri del regno di OP se li guardano di traverso e chiedono "perchè"?

Dovremmo farlo, una mattina, noi mamme stravolte da un'altra notte in reparto senza sonno, mentre aspettiamo i papà che vengono a portarci una maglietta pulita, un sorriso e un caffè. Dovremmo farlo davvero: trovare il coraggio, superare la timidezza, spezzare il silenzio del corridoio verde e celeste. Lasciare per un attimo la mano dei nostri bambini, affacciarci alla porta della stanza, rivolgerci in piedi verso il carrello con i camici bianchi attorno pronti a partire verso le nostre venti vite. Poi unire le mani e battere forte. Due, tre, quattro volte. Insieme. Dovremmo farlo un bell'applauso ai medici del regno di OP, che scelgono l'inferno e cercano di spegnerne l'incendio. Dovremmo farlo, porca miseria, insieme ai bambini, magari, spiegandolo ai bambini chi sono questi signori che entrano e gli tirano su il pigiama per toccare la pancia e sentire il torace, che li fissano sempre a lungo, come a cercare qualcosa. Una risposta, un segreto, chissà.

Qualche volta ce la fanno, giuro. Li ho visti con i miei occhi. Ce la fanno a trovare la chiave per liberare i bambini dal regno di OP, rimandarli a casa, a scuola, al catechismo, a giocare a calcetto e al campeggio con gli scout. Dal regno di OP si esce e se si esce è perché sono stati loro a inventarsi qualcosa. Qualche volta, invece, perdono e si bruciano fino a farsi male. Eppure restano, tornano ogni mattina, nessuno li muove da qui. Sono bellissimi, coraggiosi e indifesi.  Anche loro un po' invincibili, nonostante tutto. Nonostante, visto dal regno di OP, il mondo sembri proprio alla rovescia. Nonostante faccia male ogni volta, faccia male sempre. Nonostante alle fiamme dell'inferno gli occhi non si abituano mai.

7 commenti:

  1. sto leggendo le cose che scrivi, le tua parole mi commuovono, non ho mai avuto il coraggio di chiederti.... l'ho fatto attraveso david, ma adesso non conosco la situazione..... a te e a marchetto mando un forte abbraccio e naturalmente tutte le mie speranze sono per il vostro piccolino..... sei una mamma meravigliosa e la vita ti deve assolutamente dare la possibilita' di farlo nelle condizioni migliori.
    siete sempre nei miei pensieri....
    alessandra

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  2. che belle parole..davvero..complimenti!!
    sono un infermiera...ed è bello sapere che qualcuno, ogni tanto, capisce lo sforzo che c è dietro il ns lavoro. In genere i miei pazienti sono anziani..ma ciò nn toglie che le difficoltà siano comunque molte! grazie x l emozione che mi hai fatto provare!

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  3. Scrivere questo blog farà bene a te ma fa bene soprattutto a noi che lo leggiamo.

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  4. Carissima Paola, non ci sono molte parole per esprimere l'emozione che ho provato leggendo questa pagina e sai perchè? perchè sono contenta che oggi esistono ancora MEDICI, come lo era il mio papà, che amano il loro lavoro,che si fanno in diecimila pezzi per salvare la vita di queste piccole anime innocenti, che lottano insieme ai loro genitori, ogni giorno ,24 ore su 24!Questa pagina deve essere di grande insegnamento per noi e per tutti quei medici che oggi lavorano solo per portare a casa la pagnotta!Grazie amica mia e ringrazio anche io questi medici da parte mia e da parte del mio angelo! Francesca squeo

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  5. Complimenti Paola! per la tua onestà, per la tua sensibilità, per come scrivi e per quello che scrivi!
    UN GRANDE IN BOCCA AL LUPO PER VOI!
    Claudia

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  6. Non è facile accettare che il ciclo della vita,a volte, si spezzi, faccia i capricci e si inverta e invece degli anziani muoiano i bambini. Non è una ferita che può guarire, quella di un genitore che stringe la mano del suo bambino, suo figlio e lo guida verso la fine. Ma è importante prendersi cura di quello che resta, la famiglia, la mamma e il papà, i fratelli e le sorelle che devono imparare a vivere una nuova vita insieme alla mancanza, all'assenza. Ed entrare nel regno di op è compiere un passo verso la consapevolezza che l'uomo non può tutto, che ci sono dei limiti oltre i quali, anche la scienza, non può nulla.E' un dover accettare la frustrazione e il dolore dell'impotenza, davanti ad un bambino che si ammala e solo a volte però è anche speranza di guarigione e vita. Il regno di op è ciò che non dovrebbe esistere, c'è e fa tremendamente male perchè ci pone davanti alla nostra misera e limitata umanità, ma ci fa intravedere anche la nostra più grande virtù:la perseveranza e la speranza.... Licia.

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  7. due nomi: anna maria testi e maria luisa moleti, oncoematologhe dell'umberto primo.

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